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Arianna Gatti

CORSO SUPERIORE DI CUCINA ITALIANA DI ALMA

 

 

Come è tornare in ALMA da chef?

 

È stata una grande emozione, qui ho trascorso cinque mesi molto intensi della mia vita.
Spero sia uno stimolo per i ragazzi avere a disposizione queste occasioni, affiancando chef professionisti che come loro hanno condiviso lo stesso percorso formativo in ALMA.

 

Lo chef Léveillé definisce la propria cucina “golosa, burrosa, per nulla cerebrale”. Ritroviamo gli stessi concetti nella tua cucina?

 

Con Philippe condividiamo una visione molto simile.
L’unico elemento discordante è stato l’incontro tra olio e burro, ma abbiamo trovato un compromesso.
Ho imparato ad usare il burro ed apprezzarlo, prima lo usavo solo per le torte. E lui ha fatto lo stesso con l’olio, utilizzandolo come alternativa al burro.
È una cucina golosa, molto tradizionale con elementi di contemporaneità.

 

Prima di Léveillé, hai maturato esperienza in giro per l’Italia.

 

Dopo il liceo scientifico, ho lavorato al Sofitel, hotel 5 stelle lusso di Roma. Così mi sono appassionata alla cucina e alla pasticceria.
Dopo un’esperienza all’Estrobar, ho deciso di iscrivermi in ALMA perché sentivo la necessità di approfondire le mie conoscenze.
Durante il corso, ho svolto lo stage al ristorante di Paolo Teverini. Una bellissima esperienza che sia io che lui ricordiamo con piacere.
Poi mi sono trasferita a Bologna, Al Pappagallo dai fratelli Leoni  e, quasi per caso, sono approdata a Concesio, al Miramonti l’altro. Da qui non mi sono più mossa, anche se ogni tanto Philippe decide di mandarmi a svolgere tirocini all’estero per qualche periodo.

 

Ora sei sous chef al Miramonti l’altro. Inizi in pasticceria, come sei diventata braccio destro dello chef?

 

Entrare in pasticceria è stato in realtà un espediente per arrivare in cucina. All’epoca non c’era nessun’altra posizione lavorativa disponibile, quindi mi sono detta “proviamo”.
Quando il capo partita dei primi ha lasciato il suo ruolo, mi sono fatta subito avanti.
Ho proposto a Philippe di cercare un pasticcere anziché qualcuno da inserire nello staff di cucina, perché avrei potuto prendere io quel posto. E così è stato. Poi è stato un continuo crescere, fino a ricoprire il mio attuale ruolo di sous chef.

 

Cosa significa affiancare Philippe Lévéillé?

 

È molto divertente, Philippe in realtà è un amico, splendido lavorare con lui. Un professionista lontano dalla figura dello chef presente nell’immaginario collettivo, di celebrità altezzosa. Sicuramente è anche molto impegnativo perché a questi livelli devi riuscire a garantire una costante precisione e attenzione per i dettagli. C’è molta tensione perché devi sempre “essere sul pezzo”.

 

La brigata del Miramonti l’altro, oltre che per bravura, spicca per essere giovane e al femminile.

 

Essere una brigata giovane è un punto a favore di Philippe,  è stata una ventata d’aria fresca. Penso che i giovani siano coloro i quali dovranno dare un’impronta alla nuova cucina.
Siamo una brigata consolidata di donne che lavorano e sollevano pesi come fanno gli uomini e non si lamentano mai.
Il punto non è essere uomo o donna, ma essere dei professionisti.

 

Lévéillé ti definisce «organizzata, motivata, competente, equilibrata». Pensi siano state queste caratteristiche a farti vincere il premio Identità Golose come “Miglior Sous Chef d’Italia”?

 

Penso sia stata la costanza, la determinazione. Tutto il percorso compiuto insieme a Philippe in questi anni.
Abbiamo trovato una linea di costante evoluzione e miglioramento e siamo contenti di questi risultati.

 

Sei tra i finalisti del concorso Chef Balfegó, uno dei più importanti concorsi gastronomici d’Europa.

 

Mi sento meravigliosamente felice perché è una bellissima esperienza in un grande concorso.
Andrò in Spagna e concorrerò contro chef spagnoli ( è la prima volta di una chef italiana tra i finalisti del concorso ndr).
Mi sento un po’ sotto pressione, dovrò anche imparare la lingua.
E non vedo l’ora di andare a nuotare con i tonni sinceramente, me l’hanno promesso!

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