Aurora Storari

Ha iniziato scrivendo i menù a mano a cinque anni per gli amici di famiglia, oggi firma un dessert dining da dieci portate nel cuore di Parigi e ha conquistato una stella Michelin in pochi mesi. Ma non chiamatela semplicemente “pastry chef”.
Dietro il progetto Aura c’è molto di più: una visione personale, fatta di creatività istintiva e rigore tecnico, un’idea di pasticceria che rompe gli schemi, parla un linguaggio tutto suo e osa proporre un futuro più consapevole — fatto di ingredienti stagionali, meno zucchero, meno proteine animali e tanta, tanta curiosità.
In questa intervista ci racconta il suo percorso: dalle conserve con la tata franco-italiana all’alta pasticceria parigina, passando per ALMA, il coraggio di cambiare strada e la voglia, mai sopita, di non omologarsi.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla cucina?
Il primo ricordo credo sia stato con la mia tata, franco-italiana, che preparava delle conserve di cui ancora oggi ricordo il sapore.

Come è nata la tua passione per questo mondo?

Credo di averla sempre avuta. Come il 90% degli italiani, la passione per il cibo è intrinseca nella nostra cultura: quasi tutti siamo cresciuti tra i profumi delle ricette di famiglia. Nel mio caso, mia nonna – anche lei cuoca – mi ha trasmesso l’amore per gli ingredienti. Ma fin da piccola ho avuto anche una passione per l’ospitalità: ricordo che a 5 anni scrivevo a mano i menu per gli amici che venivano a cena.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza in ALMA, dentro e fuori dalla cucina?

Per me ALMA ha rappresentato molte cose. Innanzitutto, mi ha permesso di passare da una preparazione domestica a una dimensione professionale: è stato il primo vero banco di prova per capire se fosse davvero la strada giusta per me. In secondo luogo, è stata la mia prima esperienza lontano da casa, e spesso non si parla abbastanza di quanto sia importante in questo mestiere imparare a cavarsela fuori dalla propria zona di comfort.
Infine, ho appreso le basi fondamentali per potermi misurare in una vera cucina, e questo mi ha permesso di scegliere con consapevolezza il mio percorso.

Che cosa ti ha spinto ad abbandonare il salato per dedicarti alla pasticceria?

Sono sempre stata attratta da tutto ciò che riguarda il cibo, e anche quando lavoravo in cucina buttavo sempre un occhio alle altre partite. Sono una persona curiosa, che si pone tante domande, e nella pasticceria ho trovato il mio modo di lavorare: creatività, gusto, tecnica, equilibrio, ricetta.

A pochi mesi dall’apertura, Hemicycle ha conquistato una stella Michelin: qual è il segreto dietro questo successo lampo?

Studiare e lavorare tanto. Spesso si tende a edulcorare la fatica necessaria per raggiungere certi risultati, ma la verità è che serve tanta preparazione e dedizione. Io e il mio compagno ci siamo costruiti spalle abbastanza forti per affrontare il percorso, e prima del traguardo c’è sempre la salita: è lì che bisogna concentrarsi. Lo dico spesso ai più giovani: prima di pensare ai premi, bisogna imparare a fare bene. I riconoscimenti arrivano solo dopo.

Ritratto in bianco e nero di Aurora Storari, pastry chef, in divisa da cucina, con sguardo fiero e deciso

Vivere e lavorare a Parigi, nella patria della pasticceria: quanto ha influenzato il tuo stile?

Moltissimo. Viaggiare e lavorare all’estero mi ha aiutata ad aprire la mente. Quando sono tornata a Parigi ero spaventata: la concorrenza è altissima, soprattutto in pasticceria. Inoltre, la mia formazione in questo ambito è quasi del tutto autodidatta – o, meglio, appresa sul campo – mentre molti colleghi francesi vantano scuole prestigiose e lunghi apprendistati.
In più, non ho mai amato la pasticceria classica, né sono una vera amante del dolce. All’inizio non sapevo dove collocarmi… finché non ho deciso di creare io stessa il mio contesto — Aura ed Hemicycle — e da lì è iniziato tutto.

Nei tuoi dessert si nasconde ancora un’anima italiana? In che modo si manifesta?

Credo di avere poche reference italiane dirette, ma i miei dessert richiamano alcuni gusti molto italiani: acidità, amarezza, note balsamiche ed erbacee. Sono caratteristiche tipiche della nostra cucina, che spesso diamo per scontate, ma che diventano evidenti quando si esce dall’Italia.

Aura è un progetto audace: com’è nata l’idea di un dessert dining da dieci portate?

Avevo bisogno di trovare un mio linguaggio. Quando sono passata dal salato al dolce, temevo che la pasticceria fosse troppo limitante in termini di ingredienti. Così ho iniziato a sperimentare: ho mescolato tecniche da cucina, trasformato l’istinto in razionalità grazie alla ricetta, fino a raggiungere un equilibrio in cui non aggiungo né sale né zucchero.
Da lì l’idea di un menu completo che spinga ogni ingrediente al massimo del suo potenziale.
Con Aura voglio raccontare che anche la pasticceria è un linguaggio, come la cucina: cambia solo la chiave di lettura.
Credo che oggi sia importante proporre esperienze che educhino a un modo di mangiare più consapevole: meno proteine animali, più ingredienti stagionali, un menu che si adatti alla natura, non il contrario.

Se dovessi descrivere la tua pasticceria in tre parole, quali sceglieresti?

Istintiva – Razionale – (sono un controsenso!) – Contemporanea

Se potessi tornare indietro e parlare alla te stessa diciannovenne, che consiglio le daresti?

Di non avere paura di ascoltarsi.

Qual è il sogno che oggi guida il tuo lavoro? E cosa ti auguri per il futuro?

Mi auguro, nel mio piccolo, di essere un’ispirazione per tutti quei cuochi e pasticcieri che faticano a trovare il loro spazio.
Ci vuole tempo, costanza, studio, fatica… ma prima di tutto serve rispetto per sé stessi.
Quando ero agli inizi, avrei voluto che qualcuno mi dicesse che non è necessario omologarsi. Oggi, spero di poter trasmettere questo messaggio di libertà.
Sia personalmente che professionalmente, spero di continuare a esprimermi con libertà, trovare nuove parole per il mio linguaggio e alimentare sempre la mia curiosità.