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Daniele Bartolo Polito

CORSO SUPERIORE DI CUCINA ITALIANA DI ALMA

 

 

Cos’è stata per te ALMA?


ALMA è stata per me una scuola non solo dal punto di vista tecnico-pratico, ma di vita.

 

Come mai nonostante una carriera già avviata decidi di intraprendere un percorso di studi. Perché proprio in ALMA?


Svolgevo questa professione già da 10 anni e tornato da un viaggio da Chicago, mia madre mi propone di andare a studiare in ALMA. Non ero molto interessato a ricominciare a studiare ma alla fine mi convinco e mi iscrivo al Corso Superiore di Cucina italiana.

 

Parlaci della tua fase di stage.


Inizio lo stage a Varese nel ristorante Quattro Mori, al tempo 1* Michelin, locale che ad oggi purtroppo non esiste più. Dopo circa due mesi mi arriva la telefonata dell’allora direttore didattico, dicendomi che avrei dovuto cambiare location per il mio stage e quindi, fatte le valigie, mi trasferisco a Verona, zona Valpolicella − regno dell’Amarone − alla corte di Bruno Barbieri a Villa del Quar. Qui ho passato dei mesi intensi ma bellissimi in cui ho avuto modo di conoscere persone di spessore, qualcuno diventato anche grande amico, come Tommaso Sandroni, anche lui diplomato ALMA.

 

Raccontaci delle tue esperienze lavorative dopo ALMA.


Da quella esperienza proseguo la mia esperienza lavorativa presso il club della famiglia Caleffi a Viadana (MN). Dopo una breve esperienza a Chicago ritorno in Italia e approdo al Four Seasons Hotel di Milano. Era l’ottobre 2010. Questa esperienza è durata poco più di un anno, ma il bagaglio culinario è stato stratosferico!

 

Poi scegli di trasferirti in Inghilterra.

Dopo brevi esperienze a San Francisco e in Italia, decido di trasferirmi a Londra per migliorare l’inglese. Accetto una posizione al The Savoy, dove il leggendario Augustre Escoffier un secolo fa aveva fatto conoscere al mondo cosa volesse dire la Grande Cucina in un Grande albergo. Classicità pura in stile British.
Dopo poco più di due anni e mezzo mi trasferisco al The Beaumont, boutique hotel di recente apertura.

 

Ma il tuo giro nel mondo non finisce qui.


Un anno e mezzo dopo mi contatta l’Executive chef del Four Seasons Kuwait at Burji Alshaya, chiedendomi di guidare il ristorante italiano Dai Forni, di prossima apertura all’interno dell’albergo. Una grande prova, dove mi sono cimentato con nuove sfide: dalla difficoltà nel reperire prodotti italiani all’estero fino al combinare le aspettative di sapori locali con quelli della vera Cucina Italiana mantenendo livelli qualitativi alti.
Quasi 3 anni dopo, arriva l’occasione: si apre la posizione in Corea del Sud, a Seoul, nuova sfida all’orizzonte. Divento Head Chef del Four Seasons Hotel di Seoul. Qui la sfida è stata cercare di abbattere le barriere culturali gastronomiche. È un mondo in cui le tradizioni sono radicate e nonostante un mondo globalizzato la cultura locale la fa da padrona.

 

Cosa consigli a chi si è appena diplomato?


Dico di provare e inseguire sempre ciò che vi appassiona, senza pensarci troppo. Non lasciarsi fermare dalla paura perché è forse l’unica delle sensazioni che può privarti del futuro che vuoi. Consiglio di mantenersi umili e di fare gruppo con i colleghi e non “la guerra”, perché non serve a nulla. Valorizzare i prodotti italiani perché è in gran parte per merito di queste risorse che la cucina italiana continua ad essere apprezzata in tutto il mondo.

 

Qual è la caratteristica indispensabile per chi vuole seguire il tuo stesso percorso?


L’esperienza che non può mancare sicuramente è quella in una piccola realtà italiana d’eccellenza con una famiglia patron che ti trasmetta l’amore per questa professione. Da italiano, puoi fare il cuoco, se non hai mai lavorato in un ristorante che tratti la tradizione culinaria Italiana in maniera autentica. Dall’altro lato non va assolutamente esclusa la possibilità di lavorare presso ristoranti blasonati, italiani poiché consentono di migliorarsi ancor più dal punto di vista tecnico e operativo.

 

Come sta cambiando il mondo ristorativo oggi?


Stiamo vivendo in un momento di “avanguardia di ritorno”, lo definisco io. Ci sono locali e cuochi che estremizzano per semplicità ed altri che esasperano accostamenti ed ingredienti in un solo piatto. Ci sono nuove tendenze culinarie, vedi il Sud America in gran voga da qualche anno oppure l’Africa, un continente gastronomico con grande possibilità ancora tutte da esplorare.
Come nella moda, anche in cucina riappaiono preparazioni e servizi già visti anni fa. Il ritorno del servizio al Guéridon  — alla Russa ndr — ne è un esempio. Senza le basi della “classicità”, oggi, si farebbe ancora più fatica a proporre, reinterpretare ed innovare in cucina.

 

Cambierà anche la figura dello chef?


Il cuoco del futuro deve sempre di più essere colui che parla con i suoi clienti, che li guida nel menu e li “istruisce”, facendogli capire il valore della materia prima usata.

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