
C’è chi cresce tra i banchi di scuola e chi tra quelli da lavoro, come Mattia Casabianca.
Dalla storica attività di forno di famiglia a Senigallia fino al laboratorio del tre stelle Michelin Uliassi, il suo percorso racconta cosa significa credere nella formazione continua, nel lavoro di squadra e nella pasticceria come linguaggio contemporaneo.
Con ALMA — Corso Superiore di Pasticceria — come tappa fondativa e il mondo come palestra di esperienze, Mattia ha scelto di mettersi in discussione per trovare la sua identità di pasticciere. Oggi, guida una brigata nel cuore di uno dei ristoranti simbolo della cucina italiana d’autore, senza mai dimenticare le origini.
Mattia, com’è iniziata la tua storia con la pasticceria?
(Ride) Diciamo che non è iniziata… c’è sempre stata. Tornavo dall’asilo e finivo in laboratorio, tra teglie, farina e profumo di pane. A casa mia si impastava, si infornava, si viveva con le mani nella farina. È un mestiere che sento nel sangue.
Cosa facevano i tuoi?
Gestivano un forno a Senigallia, ancora oggi attivo. Pane, ciambelloni, crostate, torte della domenica. Una pasticceria classica, genuina. Io facevo le basi: pan di Spagna, la frolla, le paste. Ma dopo tanti anni sentivo di essere fermo. Avevo voglia di muovermi, di vedere altro.
Cosa ti ha spinto a scegliere ALMA, nonostante avessi già una base solida?
Avevo le basi, sì. Ma sentivo il bisogno di fare ordine, di strutturare quello che avevo imparato sul campo. ALMA è stato un passaggio naturale: cercavo un metodo, un confronto vero, qualcosa che mi aiutasse a dare un senso più ampio a quello che facevo. È lì che ho capito che non basta saper fare, bisogna anche sapere perché lo si fa.
Poi hai deciso di partire. Dove sei andato per primo?
A Londra. Era il 2013. Non sapevo bene cosa cercavo ma sapevo che dovevo imparare l’inglese. Era la chiave per viaggiare, per capire il mondo. Ho avuto la fortuna di entrare nella brigata del Pierre Gagnaire a Sketch. Poi sono rimasto in ristoranti francesi — senza andare in Francia — proprio per imparare la loro mentalità.
Che differenza hai trovato tra la pasticceria francese e quella italiana?
La francese è tecnica, curata, stilizzata. Ogni dolce è un gioiello. Ma spesso manca il calore. È molto burrosa, ricca. Noi abbiamo una pasticceria fatta di gusto, di materie prime, di semplicità vera. E poi loro sanno vendersi meglio. In quello ci battono. Ma nel sapore? Non so…
E oggi, com’è la tua giornata da Uliassi?
Siamo in quattro in pasticceria. Gestiamo anche gli aperitivi, quindi iniziamo e chiudiamo il servizio. Turni serrati, tanto lavoro. Ma non delego. Io sono lì con loro, sempre. Non potrei fare altrimenti.
La sfida più difficile?
Tenere unita la brigata. In questo mestiere c’è tanto turnover. Se ogni anno ricominci, è dura. Ma la vera sfida è far stare bene le persone. Più che essere un grande pasticciere, devi essere un buon compagno di viaggio.
Meglio un talento o un team solido?
Sempre la squadra. Il talento da solo non va da nessuna parte. Se tutti remano insieme, anche chi ha meno esperienza può diventare fondamentale. E il leader non è mai da solo: esiste perché c’è chi lo sostiene.
Parliamo di zucchero. Si sente spesso parlare di “dessert scarichi”. Cosa ne pensi?
Non è moda, è gusto. Lo zucchero c’è già in frutta, verdura. Se esageri, perdi il sapore. Noi facciamo test continui per capire fin dove possiamo spingerci. Anche nel gelato: non puoi toglierlo del tutto, ma puoi dosarlo con intelligenza. È come il sale: se troppo, copre tutto il resto.
C’è una direzione precisa nella vostra ricerca?
Ogni anno lanciamo una nuova sfida. Quest’anno, ad esempio, abbiamo tolto l’anguilla dal menù di Uliassi. Stiamo alleggerendo, cercando sapori puliti, netti. Vogliamo che ogni piatto comunichi qualcosa — con tre, quattro ingredienti al massimo. Non serve stupire, serve emozionare.
Quanto conta la formazione nel tuo lavoro?
Tutto. Ogni esperienza, ogni collega, ogni errore… ti lascia qualcosa. In un collaboratore cerco apertura, voglia di imparare. La materia prima è sempre la stessa: ma come la lavori, come la pensi, fa tutta la differenza.
Ci racconti due dessert rappresentativi del ristorante Uliassi?
Ce ne sono due a cui sono molto legato. Uno si chiama Cartelletta: frolla al fiore di anice, spuma al burro antico, fichi in aceto, una cake all’anice e gelato al Varnelli. L’altro è Rosmarino, zenzero e caffè: una sfoglia al cacao con oli essenziali, ganache, gelato e panna aromatizzata. Tutto gira attorno a quei tre sapori, che devono sentirsi chiari, puliti.