Luca Marchiani

Eleganza, consapevolezza e passione: Luca Marchiani è stato eletto Miglior Sommelier della Toscana 2025. Un traguardo che rappresenta molto più di un riconoscimento professionale: è la testimonianza di un percorso fatto di studio, sacrifici e condivisione.
Formatosi con il Master ALMA-AIS, oggi Luca è docente, relatore e voce autorevole della sommellerie contemporanea. In questa intervista ci racconta cosa significa rappresentare una delle regioni simbolo del vino italiano e come evolverà il ruolo del sommelier nell’era della comunicazione digitale.

Luca, il titolo di Miglior Sommelier della Toscana 2025 porta con sé una grande responsabilità: come vivi questo riconoscimento?

Lo vivo con sommo orgoglio, poiché ho la possibilità di rappresentare i miei stimati colleghi sommelier e i laboriosi vignaioli toscani.
Va da sé che, oltre all’immensa gioia che questo traguardo suscita in me, sento anche una forte responsabilità: essere d’esempio per i futuri professionisti della sommellerie toscana.
Mi sento stimolato a dare sempre il massimo e cercherò di trasmettere agli altri tutto ciò che ho appreso in questi anni di profonda passione per il vino.

Ripensando al tuo percorso, quali sacrifici e quali soddisfazioni hanno segnato la strada fino a questa vittoria?

I sacrifici sono stati, e continueranno ad essere, una costante del mio percorso. Come diceva sempre mia mamma: “Con una mano si prende e con l’altra si dà.”
In sintesi, credo che pazienza e costanza siano stati i sacrifici mentali più impegnativi, necessari per sviluppare una forma mentis resiliente.
La mia più grande soddisfazione? Vedere che colleghi e produttori riconoscono e rispettano il mio approccio al vino: gentile, consapevole, dettagliato ed empatico.

Qual è stato il contributo più importante del Master ALMA-AIS nella tua crescita come professionista del vino?

Senza dubbio, la possibilità di stringere legami indissolubili con compagni provenienti da tutta Italia, molti dei quali sono oggi colleghi con cui continuo a confrontarmi.
Il vino è condivisione, e ad ALMA ho imparato che nozioni e prova empirica devono andare di pari passo.
Ho tratto enorme beneficio dall’esempio delle persone che ho incontrato, che mi hanno spinto ad alzare sempre di più l’asticella del mio percorso professionale.

C’è un docente, un compagno di corso o un momento in ALMA che ricordi come particolarmente ispirante?

Vorrei citare due figure che mi hanno lasciato un segno profondo:
Alessandro Tomberli, sommelier e direttore di sala di Enoteca Pinchiorri, che ho incontrato in aula al master: da lui ho imparato la ricerca dell’eccellenza attraverso i gesti più impercettibili e la disciplina della preparazione.
E Angelo Gaja, patron dell’omonima azienda a Barbaresco, conosciuto durante una visita in cantina: da lui ho appreso che non bisogna inseguire la perfezione, ma cercare la propria unicità.

La Toscana è un simbolo mondiale del vino. Qual è il tuo modo di raccontarla e quali aspetti ti emozionano di più nel rappresentarla?

La racconto con orgoglio e senza presunzione, consapevole del fatto che la mia regione natale riesce a stare al passo con i tempi, pur essendo una delle terre del vino più antiche e blasonate al mondo.
Ciò che più mi affascina è l’eterogeneità toscana: il Sangiovese, vitigno principe della regione, riesce a declinarsi in maniere sorprendenti, con una capacità camaleontica che continua a stupirmi.

Come vedi evolvere il ruolo del sommelier oggi, in un’epoca di comunicazione digitale e nuovi linguaggi enogastronomici?

Credo che debba diventare sempre più centrale.
Nel mio percorso ho affrontato anche la sfida della ristorazione stellata, ricoprendo per due stagioni il ruolo di Head Sommelier al ristorante Atman di Lamporecchio. Lì ho capito quanto sia fondamentale instaurare un contatto diretto, sincero e accattivante con l’ospite.
La digitalizzazione ci ha insegnato il valore della sintesi, e oggi più che mai dobbiamo saper comunicare il vino in modo efficace, accessibile e affascinante.
Ne ho conferma anche ora che insegno corsi in lingua inglese presso l’L.d.M. International Institute di Firenze: il nostro compito è essere interpreti autentici del vino, senza mai smettere di evolverci.

Il sommelier deve essere custode della tradizione o provocatore di gusto? Tu da che parte stai?

Sarò lapidario: non esiste tradizione senza rivoluzione.
Mi sento un po’ come il Dottor Jekyll e Mr. Hyde: custode del sapere, ma pronto a stupire quando serve.