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Paco Alioune Ndiaye

La cucina nomade di Paco, che unisce più Paesi e la loro filosofia: Finlandia, Italia e Senegal. Una cucina no waste, improntata sulla vera sostenibilità, territorialità e valorizzazione della materia prima.

Parlaci di te: chi è Paco Alioune Ndiaye.

I miei genitori sono originari del Senegal, e io stesso sono nato lì, a Dakar. La mia famiglia si è poi trasferita a Venezia, dove ho iniziato a studiare elettronica. Nel frattempo ho iniziato a fare il lavapiatti, scoprendo giorno dopo giorno la mia sempre più grande passione per la Cucina: compravo libri, leggevo ricette, facevo tutto quello che potevo fare, sempre più incuriosito da questo mondo e mosso da una grande passione.

La tua passione per la Cucina e il Corso in ALMA: come è successo?

Da piccolo leggevo i libri di cucina di mia mamma e guardavo i programmi alla televisione, ma mai avrei pensato che sarebbe diventato il mio lavoro. Provengo da una realtà, il Senegal, che è molto lontana da quella che è poi stata la mia scelta di vita.
Lì è la donna che si occupa di cucinare, ed era davvero impensabile per me credere che sarebbe diventata la mia strada.
Lavoravo in un piccolo ristornate di Venezia, nel quale ero assunto come un tuttofare: lavavo i piatti, aiutavo in cucina, e poco a poco ho iniziato a prendere sempre più autonomia e praticità tra i fornelli.
Un giorno, su un giornale, ho visto la pubblicità di ALMA: la nuova Scuola di Cucina di Gualtiero Marchesi.
Per frequentare il corso erano necessari alcuni anni di esperienza in Cucina, esperienza che io non avevo ancora. E anche i soldi che avevo non erano sufficienti.
Ho preso quella pubblicità e ho capito quello che avrei voluto fare: frequentare ALMA era diventato il mio sogno.
Dopo qualche tempo sono andato a Colorno, per sostenere il test di ingresso. Ma la mia unica chance di poter frequentare il corso era quella di vincere la borsa di studio. E riuscii a farlo.

Paco prima e dopo ALMA, cos’è cambiato?

Il Paco prima di ALMA era qualcuno che voleva fare il cuoco. È poi diventato qualcuno che per seguire il suo sogno di studiare in ALMA, il weekend tornava a Venezia per lavorare 25 ore nel weekend, mentre da lunedì a venerdì cercava di imparare tutto quello che poteva frequentando le lezioni.
ALMA era la cosa più bella che mi potesse capitare: amavo la cucina italiana ma studiando mi rendevo conto che non sapevo nulla della sua storia, della sua filosofia, delle sue influenze, il modo di pensare e di sviluppare un prodotto.
Dopo tutti questi anni, mi rendo contro che il punto di forza, la “cosa speciale” che mi ha dato ALMA è il modo di pensare e di comprendere che esiste una stagionalità ed una territorialità dei prodotti, il tutto retto e messo in pratica da chef provenienti da ogni parte di Italia.
Paco dopo ALMA non era un professionista, ma qualcuno con un’apertura mentale e un bagaglio culturale di conoscenze e di tecnica importante. Un altro Paco.

Da ALMA a Nomad Food: qual è stato il percorso?

Dopo ALMA non avevo le idee chiare, sapevo solo che dovevo continuare a crescere, lavorando e mettendo in pratica tutto quello che avevo imparato.
La mia cucina, oggi, è proprio questo: la somma di tutte le esperienze che ho vissuto, sia personali che professionali.
Mi sono sposato e ora vivo in Finlandia. Fin da subito sono stato il capocuoco di uno dei ristoranti italiani più famosi del Paese, dove ho lavorato per 7 anni.
È stata un’esperienza bellissima, ma ho capito che qualcosa mancava in quella che volevo fosse la mia cucina.
Ho deciso di darmi un’identità con il Nomad Food e di fare qualcosa che potesse rappresentare tutto quello che sono e che sono stato: un nomade.

Come definiresti la tua cucina?

È un’unione delle varie filosofie culinarie che ho incontrato nel mio percorso: il mio bagaglio tecnico e culturale della cucina italiana; ingredienti provenienti dal mio Paese d’origine, il Senegal, così come la cultura e la materia prima del Nord.
La mia cucina è un modo diverso di essere nomade: non sono più io che viaggio, ma è la mia cucina che porta a viaggiare per il mondo. Ogni tre mesi il menù del ristorante cambia, e questo per seguire l’idea di stagionalità dei prodotti, filosofia che ho imparato in ALMA.
In tutti i piatti ci sono tecniche o elementi della cucina italiana, finlandese e senegalese.
Inoltre, è no waste: utilizziamo tutte le parti, quelli che sono gli “scarti” di alcune preparazioni vengono usate per altre.

Oggi da quante persone è composta la tua brigata?

La mia è una brigata limitata: in cucina siamo io, 2 chef e 2 aiuto cuoco; in sala ci sono due camerieri durante la settimana, e nel weekend si aggiungono altri 2 camerieri. Qui in Finlandia c’è un grande rispetto del lavoratore, spesso è lo chef stesso che porta il piatto in tavola e lo presenta, mostrando il suo lavoro e ricevendo un feedback diretto dal commensale.
Io sono il jolly, faccio quello che serve, quando serve.

Quali sono i progetti per il tuo futuro?

So che non sarò per sempre un ristoratore. Ho altri progetti che vanno avanti, principalmente legati alla mia terra d’origine e alla Food Industry.
L’Africa è molto importante per me, e voglio utilizzare la mia professionalità per aiutare a modernizzare la cucina africana.

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