CORSO SUPERIORE DI CUCINA ITALIANA DI ALMA
Dopo una formazione da designer, Marco Smerilli segue un’altra passione: la cucina. Dopo il diploma in ALMA, sceglie opportunità che lo portano in giro per il mondo. Oggi lavora ai “confini della Terra”: al Polo Sud, come chef della base scientifica Concordia, per un’esperienza di vita, non solo di cucina.
Raccontaci chi sei e cosa facevi prima di diventare un cuoco.
La mia prima passione è stata quella del design: a Milano nel 2003 ho frequentato l’Istituto Europeo di Design e ho praticato la professione fino al 2008. Avevo già nel cassetto un diploma di pizzaiolo ottenuto a Roma durante le mie pause feriali ma è un titolo che ho sfruttato dopo diverso tempo: quando mi sono trasferito nel Sud Est Asiatico per lavorare in uno studio di architettura, ho iniziato a fare finalmente il pizzaiolo in un ristorante italiano per arrotondare. È stato così che, col passare del tempo, mi sono reso conto che il mondo della ristorazione mi affascinava molto di più, così ho deciso di dedicarmici full time. In un primo momento in un dinner hall a Melbourne: eravamo 15 in cucina e io mi occupavo delle pizze ma nel tempo libero davo una mano ai secondi. Sfortunatamente dopo 6 mesi, per questioni burocratiche, ho dovuto lasciare questo posto ma ho subito trovato in un ristorante italiano dove ho potuto prendere davvero confidenza con le padelle nella preparazione dei primi piatti a base di carne e pesce! Tuttavia capivo che non avendo una base di studi adeguata, approcciare la cucina in modo professionale richiedeva una formazione che approfondisse le mie conoscenze e soprattutto le ampliasse. È stato così che, cercando su internet, ho conosciuto ALMA.
Quali sono state le sensazioni del primo giorno in ALMA?
Ricordo ancora le emozioni che ho provato leggendo la storia di quella scuola e, pensando di poterla frequentare all’età di 28anni, con un diploma in design, mi faceva sentire come un bambino al suo primo giorno di scuola elementare: pieno di curiosità ma con mille incertezze e timori! Sapevo che sarebbe stata molto dura e che avrebbe determinato un bel cambiamento nella mia vita, ma “vuolsi le ali a questo folle volo”, e tornai in Italia.
Se dovessi condensare la tua esperienza in ALMA come lo faresti?
Qual è il ricordo più bello che conservi ancora oggi? L’esperienza scolastica è stata a dir poco formidabile: gli chef docenti potevano essere paragonati al DreamTeam USA ‘92 di basket! Mi spiego meglio: da ognuno dei “giocatori” potevi imparare il massimo e nel migliore dei modi; il tutto sotto la guida di un direttore didattico, a mio avviso, di grande umanità e di elevata professionalità. Non dopo, ma durante ALMA ho iniziato un percorso meraviglioso! Ho svolto i mesi di stage nel ristorante “La Palta” di Bilegno, in provincia di Piacenza, guidato dalla grande chef Isa Mazzocchi.
Sono stati cinque mesi duri, perché si lavorava tanto e dovevo nel frattempo preparare anche la tesi: ma direi che, fino ad oggi, è stato il più bel periodo passato in una cucina di livello. Un ricordo di ALMA? Due, agli estremi: quando, all’inizio del corso, uno chef durante una lezione mi disse “tu sei come un bambino che vuol fare un lavoro da grandi”; e l’altro, il giorno del Diploma, quando un docente, una volta esposta la mia tesi, disse al microfono che il mio era un lavoro davvero ben fatto. Quello che mi ha affascinato di ALMA, oltre alle nozioni legate alla tecnica, è stata la capacità di comunicare la gioia del cucinare, la poesia e tutto quello che gira attorno a questo mondo fantastico che supera ogni individualismo, rivolgendosi agli uomini del presente ma soprattutto mirando a salvaguardare ogni bene per gli uomini del futuro. Non mi sento particolarmente interessato a showcooking, stelle o virtuosismi estremi sulla materia: preferisco che, quando si assaggia un piatto, si riesca a cogliere e capire la storia di chi lo ha preparato.
Subito dopo ALMA come si è evoluta la tua carriera?
Dopo il Diploma ho lavorato, per un breve periodo, al ristorante Arabesque di Milano, gestito dallo chef Corrado Coviello: ero sotto la guida di Vania Ghedini, una chef molto in gamba, giovane e con grandi ambizioni per il futuro anche lei un tempo docente in ALMA. C’è poi stata la volta della brigata di Peck, nel periodo EXPO; poi il Belgio a Bruxelles presso il ristorante Sea Grill dello chef Yves Matagne, esperienza dura ma di grande soddisfazione.
Ad oggi sei lo chef della base scientifica “Concordia” nel cuore dell’Antartide, intorno a te il nulla per migliaia di chilometri. Come si organizza la tua giornata?
La mia giornata qui in Concordia è molto semplice, ma non monotona: mi alzo alla mattina presto, faccio colazione ed entro subito in cucina a fare il pane. Mentre lievita, organizzo il pranzo e la cena con la compagnia di un po’ di musica o di un film. Poi pranzo, riordino la cucina e mi riposo per qualche minuto prima di unirmi al resto della brigata e sistemare le celle. È importante fare molto bene un inventario di ciò che si ha a disposizione, cercando di non sprecare niente di quello che ci viene dato; ma la cosa che mi dà soddisfazione maggiore è cucinare per persone che hanno scelto di fare questa esperienza andando oltre a sé stessi, pensando al bene dell’umanità.
Cosa vuol dire essere un cuoco al Polo Sud?
Essere un cuoco al Polo Sud per me vuol dire dedicare un periodo della propria vita a un gruppo di persone e a sé stessi curando il proprio lavoro, cercando di svolgerlo nel migliore dei modi, pensando soprattutto a creare un rapporto ottimale fra tutti, giocando molto con la creatività. Le sfide dovrebbero affrontarle tutti, ogni giorno, in qualsiasi parte del mondo.
Che cosa ti offre vivere un’esperienza così?
Qui magari possono essere il freddo, i rapporti umani un po’ difficoltosi o gestire la giornata nel migliore dei modi (dato che all’aperto non si può stare tanto). Ma siamo stati preparati molto bene ad affrontare tutto ciò. Credo comunque che la buona riuscita di ogni esperienza dipenda da noi stessi, dal saper superare le diffidenze, capendo che per raggiungere buoni risultati in ogni settore lavorativo bisogna essere proattivi, umili, pronti a superare ogni individualismo.